L’edizione 2020 del giro del mondo verrà ricordata come una delle meno convenzionali della sua storia. E per l’Italia l’ottavo posto di Giancarlo Pedote è un vero trionfo
Se la trama di questo VendéeGlobe fosse stata immaginata da uno scrittore probabilmente sarebbe stato un romanziere da racconti gialli. Facciamo fatica infatti a ricordare un giro del mondo come questo, così ricco di colpi di scena, di cambi al vertice della classifica e di storie umane. Un Vendée Globe che ha tenuto tutti col fiato sospeso fino alle ultimissime miglia prima del traguardo, dopo 80 giorni di regata per i primi.
La vittoria come è noto è andata a Yannick Bestaven su Maitre Coq con il tempo di 80 giorni 13 ore 59 minuti e 46 secondi. Ma siccome questo è stato un Vendée “pazzo”, Bestaven pur avendo vinto non è stato il primo a tagliare la linea d’arrivo. Sul traguardo infatti era stato preceduto di alcune ore da Charlie Dalin su Apivia. Sono state infatti decisive le 10 ore e 15 minuti di abbuono ricevute per i fatti legati all’affondamento di PRB e al conseguente salvataggio di Kevin Escoffier, che hanno permesso a Bestaven di vincere la regata nonostante fosse arrivato circa 7 ore dopo Charlie Dalin. Il distacco alla fine tra i due è stato di appena 2 ore, 31 minuti e 1 secondo, con il podio completato da Louis Burton.
Basterebbero solo i tre nomi del podio per scrivere quasi un libro sull’edizione 2020-21 del giro del mondo. Dalin che ha fatto oltre mezza regata con un solo foil funzionante, Bestaven che ha vinto pur arrivando secondo, Burton che è stato fermo 24 ore in pieno Oceano Pacifico per poi recuperare posizioni su posizioni. Eppure il Vendée Globe non è stato affatto solo questo. Il Vendéé 2020 ha parlato anche la nostra lingua, per essere precisi un italiano con accento toscano,come quello di Giancarlo Pedote che ha chiuso in ottava posizione con la sua Prysmian Group.
Il Vendée di Pedote
Giancarlo Pedote forse non sarà una “rockstar” degli Oceani come Jean Le Cam, ma ha portato la vela italiana a un livello dove mai era arrivata prima. Mai un velista col tricolore a poppa era entrato nella top 10 di questa mitica regata. Pedote lo ha fatto in punta di piedi, mostrando le proprie emozioni, non comportandosi come un super uomo ma anzi mettendo al primo posto sempre la sua modestia. E, stupendo tutti, a 24 ore dall’arrivo era a giocarsela con i migliori. Mica male per uno che era partito dicendo chiaramente che il suo obiettivo era quello di arrivare al traguardo e rispettare la barca per acquisire esperienza. Vale la pena infatti ricordare che il Vendée di Pedote è stato preparato in neanche due anni quando normalmente ne occorrono almeno quattro, e lo ha fatto con un team di supporto piccolo e con poca esperienza. Niente a che vedere con le squadre che avevano a disposizione i big francesi della classe Imoca.
Lo skipper toscano ha condotto una regata che, se da un lato è sembrata prudente, dall’altro lo ha comunque visto protagonista dato che non è mai uscito dal gruppo delle 10 barche di testa, contenendo sempre il suo distacco entro le 1000 miglia dai battistrada. Una regata ragionata, molto razionale, Pedote è rimasto fedele al suo obiettivo dall’inizio alla fine anche se nella risalita dell’Atlantico è andato all’attacco degli avversari quando le condizioni lo permettevano. Per lui che nella sua carriera ha sempre dimostrato di essere un grande agonista deve essere stato uno sforzo non da poco tenere il freno della barca schiacciato, ma è il costo da pagare quando ci si confronta con un progetto ambizioso e difficile come il Vendée Globe, durante il quale basta un’inezia per mandare il sogno letteralmente in pezzi. Lo skipper italiano ha ammesso senza alcuna remora di avere paura e si è messo a nudo con le emozioni nei video inviati da bordo. Un segnale di grande umanità in un Vendée, e le regate oceaniche in generale, che sembrano sempre di più dedicate ai super uomini. Pedote ha portato una ventata di emozioni e di umanità, mostrandosi alla telecamera come molto meno “artificiale” rispetto ai campioni francesi che si sono mostrati chirurgici nelle traiettorie oceaniche ma abbastanza piatti nel modo di comunicare.
L’ottavo posto di Pedote è quindi qualcosa che va celebrato a lungo, perché è frutto di un mix di dedizione alla causa, tecnica, razionalità e idee chiare sull’obiettivo da raggiungere. Un traguardo che farà bene a tutta la vela italiana.
Una regata anomala
Il confronto con i tempi del giro del mondo 2016 e 2012 sono impietosi. L’edizione 2020 ha portato indietro la regata di due edizioni, eppure doveva essere il Vendée dei record dove i nuovi Imoca avrebbero sgretolato tutti i primati. Il record delle 24 ore e quello della regata sono rimasti ben saldi, in particolare il secondo di 74 giorni stabilito da Armel Le Cleac’h nel 2016 è rimasto decisamente al sicuro con ampio margine dato il ritardo di 6 giorni fatto segnare da Charlie Dalin, il primo a tagliare l’arrivo di questa edizione. Come mai questa differenza? I motivi sono almeno due. Il primo, e principale, è di natura meteorologica.
Il meteo di questo giro del mondo è stato in parte anomalo. L’anticiclone di Santa Elena nella discesa dell’Atlantico ha tenuto il gruppo di testa fermo nel vento leggero per quasi 6 giorni, nello stessa zona, tra Cape Town e il Brasile, dove 4 anni prima le barche passavano a oltre 20 nodi di velocità media. Lì si è scavato un primo solco importante tra il tempo di riferimento del 2016/2017 e quello di quest’anno. Poi è arrivato il mare incrociato del Southern Ocean, che impediva alle barche di navigare senza correre grossi rischi dovuti alle sollecitazioni per i continui “crash” sui muri d’acqua troppo corti per essere surfati correttamente. Pedote ha raccontato di un periodo d’onda inferiore agli 8 secondi, con l’altezza media degli Oceani del sud significa navigare in un inferno anche se l’onda è in poppa. Per questo motivo tutti gli skipper sono stati costretti a rallentare. Con le onde così strette tra una e l’altra quando le barche accelleravano su una cresta andavao a sbattere in quella successiva, con violente decelerazioni di oltre 10 nodi devastanti per la tenuta dell’attrezzatura. Impossibile navigare in velocità in condizioni simili.
Fin qui le ragioni del meteo. Poi c’è stato chiaramente un fattore barche. I nuovi Imoca sembravano perfetti negli shooting fotografici in Bretagna, ma quando il gioco si è fatto duro alcune criticità sono emerse. Sui foil la regola di classe non prevedeva un limite massimo di misura, e alla fine realizzare queste appendici molto grandi, per ottenere un volo stabile sulle onde, si è rivelata una mossa che se in alcune situazioni ha pagato (quando il vento non andava oltre i 25 nodi e il mare era non troppo corto), in altre ha mostrato delle criticità. I foil troppo grandi montati su scafi dalle linee tese, completamente piatti sotto, si sono rivelati un tallone d’Achille tecnico che ha reso le barche fragili ed esposte al rischio di cedimenti strutturali. Per questo motivo è probabile che per il Vendée Globe del 2024 venga rivista la regola di stazza della classe Imoca, introducendo un limite massimo di grandezza per i foil e altre migliorie per mantenere le barche comunque molto performanti, sempre in grado di volare sui foil, ma anche meno esposte agli inconvenienti tecnici.