A meno che non si viva in un bunker (o nella negazione) nessuno può ignorare le problematiche ambientali contemporanee. Marinai e diportisti sono sostenitori di una passione sobria e rispettosa, fatta di risate e rum. Eppure, la costruzione, la manutenzione e l’utilizzo delle nostre imbarcazioni non è esente da qualche effetto collaterale sull’ambiente e sulla biodiversità. L’industria nautica sta lavorando per rendere la navigazione più sostenibile. Una panoramica delle iniziative verdi. E nella seconda parte del nostro articolo, potrete scoprire una piccola guida per una navigazione ecologica.
Innanzitutto, il settore nautico deve essere inserito in un contesto globale. Secondo i dati della Federazione Francese delle Industrie Nautiche – abbreviato Fin – sono state prodotte 48.532 unità, di cui 12.200 imbarcazioni nuove vendute in territorio francese e 59.405 di seconda mano nel 2017-18. Per fare un confronto, nel 2019 in Francia, sono state vendute 2,214 milioni di unità. Inoltre, secondo Rachel Moreau, autrice di “La Navigazione ecologica” (Ed.Vagnon), la nautica da diporto sarebbe responsabile dell’1% dell’inquinamento degli oceani. Le emissioni dei motori nautici da diporto rappresenterebbero solo lo 0,56% circa delle emissioni totali dovute causate dall’uomo e l’1,65% delle emissioni del trasporto su strada. Se da un lato queste cifre consentono di quantificare l’impatto della nautica sull’ambiente, dall’altro questa pratica non è totalmente “green”, ma ci sta lavorando.
Le vie per costruire barche più sostenibili
L’industria nautica costruisce il 95% delle imbarcazioni da diporto in composito, circa il 3% in alluminio, il 2% in legno (compensato o legno modellato) ed infine meno dell’1% in acciaio (fonte Plaisance ecologique ). Anche se la costruzione in composita comporta dei minor costi di realizzazione, barche più leggere e di facile manutenzione, questo materiale proviene dall’industria petrolifera. La produzione di resina e di fibre richiede una grande quantità di energia (con le emissioni che ne conseguono). I costruttori ne sono consapevoli. Dopo le avventure di Correntin de Chatelperron su Tara Tari, la riflessione sui biocompositi è proseguita, sia nella nautica da diporto sia nel mondo delle regate d’altura.
La sezione biocompositi dello studio tecnico di Roland Jourdain e Sophie Vercelletto, Kairos, è uno dei principali protagonisti di questa riflessione. Con il progetto Gwalz, venne costruito un Tricat nel 2013 con materiali biologici, come l’ultimo nato nel cantiere idbmarine, il Virgin Mojito 888, costruito in fibra di lino, sughero e schiuma PET. Antoine Mainfray, il padre degli Aloes 18 e Flow 19, dalla sua ha immaginato Floki 650, un mini biobased – fibra di bambù e lino, epossidico bio-based e acrilico termoplastico-.
Se da un lato le iniziative fioriscono, dovremo avere pazienza prima di vedere la fibra di lino in tutte le nostre barche di serie. Le cose però si stanno muovendo anche sul fronte dei grandi gruppi. Bénéteau ha iniziato una riflessione sull’impatto della sua attività lanciando un’analisi del ciclo di vita delle imbarcazioni, “dalla nascita alla culla”. Il gruppo sta lavorando per migliorare l’efficienza energetica dei propri cantieri e ridurre il volume delle materie prime ottimizzando le tecniche di implementazione. Privilegiando, ad esempio, l’infusione e l’iniezione, tramite i quali è possibile ridurre le emissioni di composti organici volatili (COV) e il fabbisogno di materie prime (oltre che ottimizzare il peso delle unità). Per diminuire le emissioni di anidride carbonica derivanti dall’esportazione delle sue unità, Bénéteau è partner dell’ambizioso progetto Neoline – dalle navi da carico alle barche a vela -.
Anche il mondo delle regate d’altura si sta mobilitando. Un gruppo di velisti, noto come La Vague, è stato formato per misurare l’impatto delle loro pratiche e per mobilitare gli operatori del settore a pensare collettivamente ad alternative sostenibili, dalla costruzione di questi bolidi all’organizzazione più eco-responsabile delle regate.
Porti puliti, Bandiera Blu… I porti stanno diventando verdi
I porti turistici, poiché concentrano l’attività nautica sulla costa, hanno un impatto sull’ambiente e sulla biodiversità. Una costa sana è sicuramente più attraente per il turismo blu. I porti non esitano quindi a comunicare il loro cambiamento verde. E c’è di meglio. La Bandiera Blu è un riconoscimento internazionale ambientale e turistico, disponibile per le spiagge ma anche per i porti (nel 2019 sono state sventolate 107 bandiere). I criteri vanno dall’attenzione all’ambiente alla gestione delle acque e dei rifiuti (raccolta differenziata dei rifiuti, recupero e trattamento dei liquidi inquinanti…). Ports Propes invece, è una certificazione che dipende da un ente esterno, Afnor. In Francia, più di 190 porti sono impegnati in questo processo che si svolge in cinque fasi. Tale processo può diventare piuttosto lungo in quanto richiede diversi investimenti (punto di raccolta dei rifiuti speciali, diga galleggiante per contrastare l’inquinamento accidentale, implementazione di soluzioni di energia rinnovabile, ecc.)
Una certificazione complementare, “Porto attivo nella biodiversità”, è stata creata due anni fa al fine di sottolineare gli sforzi fatti per la salvaguardia e il ripristino della fauna sottomarina (l’installazione di vivai ad esempio, è segno di buona qualità dell’acqua) e della fauna terrestre (rifugi per uccelli e insetti, fioriere con piante melifere, nessun utilizzo di pesticidi…). Port-Cros ha lanciato la propria operazione “Bateau Bleu”, che si distingue fra imbarcazioni nuove e a noleggio, e quindi impegnando i professionisti a migliorare le pratiche e a sensibilizzare i clienti. Infine, i porti non esitano a testare soluzioni innovative per il trattamento dei rifiuti organici, attraverso aspiratori robotizzati per rifiuti e pattumiere galleggianti.
La manutenzione e l’equipaggiamento di imbarcazioni più eco-responsabili
Uno degli aspetti più difficili in termini di manutenzione è l’applicazione delle antivegetative, i cui biocidi derivanti dall’industria petrolchimica sono dannosi per l’ambiente. A titolo informativo, secondo Voile Magazine [Antìvegetativo: Pittura senza biocidi bilanciati]: un grammo di biocidi inquina 10 000 m3 d’acqua. Fortunatamente si stanno sviluppando delle alternative, come le vernici a base di silicone che mantengono una superficie liscia a cui gli organismi hanno difficoltà ad aderire. Inoltre, il livello delle apparecchiature di bordo si è sviluppato a tal punto da rendere la vita a bordo sempre più confortevole (e sempre più dispendiosa in termini energetici). Esiste più di un’alternativa all’alternatore. Lo sviluppo di pannelli solari, turbine eoliche, generatori di idrogeno e una nuova generazione di batterie permette di guadagnare in autonomia (e sobrietà) secondo il budget e i bisogni di ciascuno.
Riciclare le barche fuori uso?
La questione della demolizione delle imbarcazioni (e del loro finanziamento connesso) è stato da sempre il “tallone d’Achille” del settore nautico. Buone notizie: da quest’estate sono operativi i centri approvati dall’Associazione per la navigazione da diporto eco-responsabile (APER), responsabile del riciclaggio delle imbarcazioni da diporto e sportive. Una barca è stata demolita nel mese di agosto, 29 a settembre e 150 ad ottobre. La demolizione è di competenza dell’APER – attraverso l’eco-contributo – ma il trasporto al centro di trattamento rimane a carico del proprietario (gru, trasporto…).
Cosa diventano poi le nostre barche ? Vianney Dupont, consulente indipendente, specializzato in attività nautiche e nei loro aspetti ambientali chiarisce: “I metalli e il legno sono nuovamente valorizzati, ma la sfida è riciclare i biocompositi (i nostri scafi). Oggi questi rifiuti sono sepolti o sono soggetti a “recupero energetico” (CSR), ovvero vengono inceneriti nei cementifici. Questi materiali possono essere riutilizzati, diventando ad esempio un agglomerato di plastica per la produzione di mobili riciclati”. E’ proprio questo l’obiettivo dell’APER nei prossimi anni, trovare soluzioni per i nostri scafi, da riconvertire grazie alla magia dell’economia circolare. Un’altra iniziativa contribuisce al riciclaggio dei nostri vecchi scafi: Bathô. Sta ristrutturando vecchie barche a vela e a motore per trasformarle in alloggi insoliti (sul carrello) per lo spirito di crociera… a terra!
Redattrice: Sidonie Sigrist